Araldica Araldica

I dischi

di Gianni Iannaco


Macy ray A volte può sembrare esagerato sprecarsi in aggettivi per un disco, Macy Gray rende la cosa possibile addirittura ascoltando soltanto Why don't you call me, la canzone d'apertura di On how life is, il suo album d'esordio. E dunque sprechiamoli: meravigliosa, trascinante, superlativa, semplicemente notevole. E' possibile dire soltanto dal primo brano che siamo davanti al debutto più sorprendente nell'ambito della musica di matrice black da quando Sade confuse pubblico e critica col suo Diamond life nel 1984? Assolutamente sì: la ventinovenne cantante americana ha quella marcia vocale in più che non si può acquistare con studio ed esercizio, una voce particolare, a tratti roca, a tratti vibrante, spesso semplicemente superlativa: un'alchimia che la pone ad altissimi livelli, accanto a vocalists del calibro di Whitney Houston e di Ella Fitzgerald, senza esagerare.

Thiery Corporation C'è sempre l'impronta dei Thievery Corporation dietro ogni uscita antologica della Eighteenth Street Lounge, l'etichetta salottiera per definizione di Washington DC. In questo caso, i due raffinati djs statunitensi hanno dato vita ad una compilazione di brani pubblicati (in Italia) nelle ormai numerose ed apprezzate raccolte di musica di b-movies (filoni erotico, esotico, poliziesco, spionistico) nostrani dei primi anni settanta. I nomi sono i soliti noti. Piero Piccioni (autore nel '68 della colonna sonora di 'Bora Bora', con cui il regista Ugo Liberatore dava inizio al filone erotico-esotico italiano) con L'Italia vista dal cielo, Piero Umiliani (quello de 'I soliti ignoti', ma soprattuto del pezzo-simbolo dell'epoca, il Mah na' mah na') con Lady Magnolia, Armando Trovajoli (impegnato nel '69 con 'Il commissario Pepe' di Ettore Scola, atmosfere jazzy sullo sfondo delle avventure del poliziotto) con Sessomatto e Decisione, Guido e Maurizio De Angelis (protagonisti della soundtrack di 'Roma violenta', uno degli innumerevoli episodi della saga mala-metropolitana) con Casa di Moda. Ma anche Fred Bongusto (Un detective), Romano Mussolini (Blues for Alexandra), Alberto Baldan Bembo (Trops). Non servono troppi aggettivi per descrivere la musica, sempre al limite del kitch senza sprofondarvi mai. Datata quanto basta per rievocare un'epoca o una stagione. Con frequenti (e curiosi) richiami ai 'maestri' d'oltremanica o d'oltreoceano (John Barry o Henry Mancini). Un'operazione che potrebbe apparire inutile per il nostro mercato, dato che già tutti i brani erano reperibili in qualche raccolta Easy Tempo o Right Tempo. Invece no: questo cd (e non altri!) è imperdibile per chi, lungi dall'essere morbosamente attratto da filone cine-lounge, vuole ascoltarne alcuni dei migliori passaggi musicali.

Jazz La parola d'ordine oggi nella musica di frontiera è JAZZ. I primi ad aver avuto la sfrontatezza di utilizzare l'aulico termine operano in Germania, a Monaco di Baviera, sede della Compost Records. Loro gli artefici della collana Future Sound(s) of Jazz (giunta ormai al sesto appuntamento in cd), ancora loro i produttori dei dischi di Jazzanova, Rainer Truby Trio, A Forest Mighty Black. Dalla british Ninja Tune segnali di uguale intensità jazz arrivano grazie all'ultima 'scoperta' della gloriosa etichetta dei Cold Cut: il suo nome è Jason Swinscoe, il suo pseudo Cinematic Orchestra. Giovane genietto, Jason ha uno sviscerato amore per il cinema e concepisce la musica quasi esclusivamente come accompagnamento ad immagini. Tra le sue attività, gestisce il club londinese 'Loop', dove i musicisti invitati devono suonare dal vivo una nuova, loro, ipotetica colonna sonora durante la proiezione di un film (scelto da loro stessi). Musicalmente, Jason è all'avanguardia per la tecnica di composizione che utilizza, un misto di campionamenti e performance live, su un loop (di basso o piano, insomma qualcosa di 'melodico') in precedenza fatto ascoltare ai suoi musicisti. Dopo la session live in cui il tema si sviluppa, Jason interviene nuovamente, personalmente, elettronicamente. Il risultato che ne deriva è una moderna forma di jazz rock, come ascoltare il nostro Perigeo modernizzato di vent'anni nei suoni. Dei 7 brani contenuti in Motion, forse solo Channel 1 suite è in linea con lo stile 'frontiera' più classico. Per Durian, Ode To The Big Sea, Night Of The Iguana, Bluebirds, And Relax! e Diabolus è la componente live (con tanto di a solo estranei al mito del cut&paste) a prevalere. Un bel risultato, anche oltre le ultime prove della Peace Orchestra di Kruder.

Il muro Il Muro occupa una rilevanza particolare nella vicenda dei berlinesi Terranova. Tanto opprimente vivere a Berlino al tempo in cui la città ne era frammentata in due, da indurre Fetisch a lasciarla. Meta: New York. E poi, Londra. Caduto il Muro, il rientro a Berlino ha dato il via al progetto (Turntable) Terranova: insieme a Fetisch un musicista di estrazione jazz, Maro Meister, ed un dj (e graffitista), Kaos. Dieci anni alle spalle prima di questo cd d'esordio, Close the door, con i primi eps prodotti dalla (ormai nota) Compost di Monaco e, soprattutto, con un volume (ottimo!) curato per la serie Dj-Kicks della Stud!o K7. Non c'è che dire. La frequentazione degli ambienti club newyorkesi e londinesi ha dato molto al gruppo, influenze black, hiphop e amicizie (tradotte qui in collaborazioni) importanti. Primo tra tutti Tricky, che canta e compone insieme ai Terranova la splendida (tanto da inserirla lui stesso in una delle due versioni cd single di For real) Bombing bastards. Poi, Cath Coffrey (Stereo MCs) che interpreta Turn around, Midnight melodic (ballata hiphop presente in due versioni), Sweet bitter love. Ed ancora una vocalist, Coco, per il singolo Just enough. Gelidi ed inquietanti quando dedicati alla composizione strumentale (Sugarhill, Close the door) in cui appare nitida l'appartenenza elettro-teutonica, Terranova si mostrano abilissimi nel mettere a proprio agio i loro ospiti, anche a rischio di compromettere l'unità dell'album e di apparire cloni di qualcos'altro (gruppi della scena di Bristol primi fra tutti).

Marco Parente Marco Parente è come la sua musica: spigoloso e riflessivo, capace di vibrazioni nervose e di quieti paradisi. Napoletano di nascita ma ormai fiorentino di adozione, un passato come collaboratore di Csi e Andrea Chimenti , è uno che, quando scrive una canzone, non riesce a mentire. Se c'era molta sincerità nel suo primo album, Eppur non basta , pubblicato due anni fa dal Consorzio Produttori Indipendenti e che fu accolto come una rivelazione, in Testa di' cuore ( Sonica ) Parente si mette addirittura a nudo, portando alla luce i nervi che pulsano sotto la sua pelle. E l'anima. Un'anima divisa in due, verrebbe da dire, seguendo il gusto della simmetricità che segna tutto il disco: parole di cinque lettere sia "testa" che "cuore", un album concepito in due sezioni come fosse un vecchio vinile, con una "facciata a" di cinque canzoni ("testa", appunto), una "b" di altri cinque brani ("cuore") e la canzone Di a fare da collegamento. Parente confessa: ha pensato a questo al bum come se andasse a finire su quel vecchio vinile "che permetteva di concepire progetti con una loro evoluzione, un inizio, un centro e una fine. Il compact, invece, invita al surplus: è un contenitore che va rimpinzato di canzoni, troppo spesso inutili. Non mi è mai capitato di sentire un cd che fosse davvero un capolavoro". Eccolo, il Parente di "Testa", la prima parte del disco: quello che, con pacata rabbia e con tenue rancore, si espone e dice la sua sulle cose che non gli piacciono. I succhiatori (ispirata a un documentario sui meninhos da rua ) non sono solo i ricchi che vivono alle spalle dei poveri "ma anche coloro che si auto compiacciono delle azioni buone, alte, pietose" perché, canta Parente, "noi non abbiamo occhi/che per noi/al massimo per chi ci siede accanto"; in Karma Parente ci sono i dubbi di chi non ha ancora trovato una propria spiritualità "e non tollera le mille fedi egoistiche e superficiali che vanno tanto di moda". Un pezzo che gioca sull'assonanza tra le parole "I o" e "Dio" "perchè l'uomo forse ha creato Dio, immedesimandovisi, per suo delirio d'onnipotenza". Un Parente fustigatore sociale? Per niente: "le mie sono riflessioni emotive, non sentenze". Poi, passando attraverso Dì, vera e propria "canzone di decompressione", si entra in "Cuore", e l'atmosfera cambia: con la title track Testa dì Cuore (in cui si capisce quanto importante deve essere stato Jeff Buckley per il nostro) si distende, si placa; gli arrangiamenti, decisamente elaborati in "Testa" con abbondanza di campionamenti e ispirazioni, si fanno qui semplici e "grezzi"; i ritmi (che nel "lato a" giocano persino al sudamerica e sembrano voler tracciare le coordinate di un "tropicalismo" mediterraneo) si semplificano ed entrano in gioco la carne, il sangue, le sensazioni fisiche, l'amore (il bellissimo duetto con Cristina Donà Senza voltarsi, una delle canzone più belle prodotte dal rock italiano degli anni Novanta) e, ovviamente, il cuore: "Scrivi se puoi/parole di conforto/imm agina se puoi/parole in carne edossa" (Rampe di slancio) è l'invito a se stesso - ma non solo - con cui si Parente si congeda dall'ascoltatore, spiegando così l'imperativo del titolo. Si parla molto, negli ultimi tempi, di risveglio cantautorale in Italia (vedi Silvestri , Gazzè , Britti , Fabi ). Parente segna ancora un'altra strada , più profonda e matura, da vero outsider rispetto alla norma, confermando una vocazione allo "stare al di fuori" tutta Toscana, che ha in Piero Ciampi il suo grande Maestro.

Tharsaday's Child L'attacco dolce amaro di Thursday's child, il pezzo apripista dell'album, e la simbolica immagine 'sacrale' nella copertina di Hours... - la classica posa della Pietà , in cui un Bowie giovane tiene tra le braccia il Bowie di oggi , entrambi bianco vestiti - mettono subito sull'avviso l'ascoltatore. Con il suo ultimo lavoro il camaleontico artista inglese cambia pelle per l'ennesima volta, per trasformarsi nuovamente in se stesso, un giovane memore del suo futuro. Anche per questo Hours... risulta tutto meno che un album di maniera: il sound messo in mostra nel disco attiva infatti un meccanismo memoriale che non scade nel già sentito, ma suona sorprendentemente nuovo. D'altra parte chi può riuscire a rielaborare in modo originale lo stile di Bowie meglio di quanto non possa fare lo stesso Duca Bianco ? Fa anzi piacere vedere (e ascoltare) un artista a 360 gradi - pittore e scultore di marca sperimentale, attore teatrale e cinematografico, uno dei primi a puntare sul media Int ernet, oltre che, storicamente, cantante ed autore musicale - che dopo gli ultimi esperimenti - vedi il funkeggiante (ma deludente) Black tie white noise (1993), il concept musical-letterario di Outside (1995), troppo 'avanti' forse, e Earthling, l'ultimo lavoro, passato pressoché inosservato - sceglie di rischiare sul sicuro e punta su se stesso. Anche per questo il balzo temporale di Hours... crea un impatto immediato nell'orizzonte d'attesa del pubblico : fin dal primo brano sembra di essere approdati per magia in una dimensione alternativa dove il 1999 è un anno imprecisato dei Settanta tra The rise and fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars (1972) e Heroes (1979). Fate un po' voi: come dire il cuore palpitante di Bowie, quello che non ha certo smesso di battere in un uomo capace di continuare a rinnovarsi a cinquantadue anni e che promette di non smettere neanche nel terzo millennio, sempre da protagonista. Le dieci tracce di Hours... - nove canzoni più un suggestivo i ntermezzo di sapore orientaleggiante - sono una continua sorpresa 'annunciata'. Dopo l'inizio umbratile e nostalgico con cinque splendide ballate in successione - rispettivamente Thursday child, Something in the air, la bellissima Survive, If I'm dreaming my life e Seven - l'album esterna l'anima rock dell'autore scaldando le vibrazioni ritmiche in What's really happening?, nella serrata The pretty things are going to hell, prima di chiudere sul versante epico con The dreamers. Un grande album, resta solo da augurarsi che la prossima metamorfosi bowiana frutti lo stesso risultato.

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